La merca

Scritto da Federico Stango.

In quegli angoli di Maremma nei quali il bestiame vive ancora allo stato brado, piccoli episodi, frammenti di realtà riportano ad un quadro ambientale vicino a quello di qualche secolo addietro e che è stato attuale fino a quando le trasformazioni postbelliche e l'apertura di nuove strade hanno favorito il popolamento della deserta e malarica pianura con la formazione di nuovi centri urbani.

Un momento della tradizionale merca. Foto: Andrea De Maria.L'antica tradizione rivive in questa vera e propria cerimonia che si svolge in maggio, con l'arrivo della buona stagione. Per quanto non difficile ai nostri giorni considerarla una celebrazione "rude", la merca, ovvero la marcatura dei giovani capi di bestiame, è in verità un'occasione speciale, un momento di festa per l'azienda e un momento di grande orgoglio per il proprietario che contemporaneamente festeggia l'ingresso ufficiale dei nuovi capi nella mandria e mostra le abilità dei propri butteri. Sono proprio questi ultimi gli unici a pagare dazio con qualche osso dolorante al punto che, la classica ironia toscana echeggia con il detto: "Chi va alla merca e non è mercato, alla merca non è stato".

Notizie sulla merca del bestiame non si trovano facilmente sui libri, tranne alcuni cenni riportati dallo storico toscano Nicolosi, per cui si risale alle origini ricercando nelle varie tenute ed aziende agricole quanto i nonni hanno tramandato nel tempo ai nipoti.

Attorno al recinto, gli ospiti, un tempo accolti in una tribuna appositamente allestita, fra sudore e polvere, gioiscono e temono di fronte a questa lotta tra i butteri, gli ultimi mandriani a cavallo d'Europa, ed i possenti torelli già ben sviluppati, agili e forti anche per via della vita brada condotta.

Dentro al recinto ogni vitello maremmano, nervoso e tutt'altro che arrendevole, è separato dal gruppo (sbrancato) dai butteri a cavallo e indirizzato verso il tondino per la marchiatura che può avvenire con tecniche diverse:

La lacciaia

E' un metodo che richiede una corda lunga 10/12 metri, la lacciaia appunto, con un anello di ferro ad un capo attraverso cui si fa passare l'altro capo per formare il cappio da lanciare sulle corna dell'animale.

Chi è addetto alla lacciaia si pone dietro al cosiddetto giudice, il palo biforcuto al centro del tondino, mentre un compagno gli fa girare il vitello intorno in senso orario così che la lacciaia arrivi sull'animale da davanti. Chi tiene la lacciaia si occuperà di catturare l'animale e preso che sia, la corda viene solitamente avvolta allo steccato per limitarne la libertà di movimento. A questo punto si può atterrare il vitello utilizzando le pastorelle o a lotta.

Nel caso delle pastorelle, uno dei butteri cercherà di afferrare la bestia per la coda mentre gli altri dovranno passargli le pastorelle intorno alle zampe. Infine, tutte le corde verranno tirate simultaneamente in modo da farlo coricare sul fianco sinistro e marchiare.

Nel caso dell'atterramento a lotta, mentre un buttero cercherà di impedire i movimenti del vitello prendendolo per la coda, un altro lo dovrà afferrare per il muso e le corna e girargli la testa per sbilanciarlo così che tirandolo successivamente da un lato possa essere legato sulle zampe e poi marchiato.

La presa a lotta

Consiste nel porre due butteri lungo la recinzione del tondino mentre un terzo incita l'animale a girare in senso orario per calmarlo, stancarlo e posizionarlo nel giusto modo perché possa essere afferrato per la testa e le zampe dai primi due. Una volta fermato, il vitello viene atterrato e l'uomo che prima lo incitava a girare nel tondino provvede a legargli le zampe immobilizzandolo.

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